È passato ormai più di un anno dall’inizio di questa pandemia che ha stravolto completamente la nostra quotidianità e il nostro modo di vivere. Se ce lo avessero detto durante il primo lockdown che anche questa Pasqua l’avremmo passata più o meno come la scorsa, probabilmente saremmo stati scettici. Avremmo detto che le cose in un anno sarebbero andate diversamente e che non avremmo avuto la forza e le energie per continuare a vivere così.
È vero che oggi non stiamo vivendo una chiusura come quella passata, ma è anche un dato di fatto che ci trasciniamo e ci portiamo dentro più di un anno di pesantezza, precarietà, incertezze, paure e mancanza di progetti a lungo termine. Tante delle cose che normalmente “colorano” la vita ad oggi ci sono precluse o comunque sono limitate.
Lo stress da pandemia
Lo stress che scatena una situazione di questo tipo ha una duplice componente: una percepita, nel quotidiano, ma ne ha anche un’altra che rimane più latente e che quindi potrebbe manifestarsi e scatenarsi in una fase successiva a quella attuale.
Stiamo iniziando a vedere le conseguenze della pandemia a livello psicofisico, tante le persone che hanno iniziato ad avere difficoltà a dormire o ad addormentarsi, che hanno forti mal di testa, agitazione o si sentono particolarmente tristi e con poca speranza nel futuro. Sempre più ragazzi giovani si sentono in difficoltà perché privati della possibilità di fare esperienze che quell’età richiederebbe. Così come i bambini più piccoli, che tra quarantene in classe e asili chiusi in zone rosse, stanno crescendo sempre più isolati e con genitori che spesso sono oberati perché costretti in molti casi a dover fare non solo da genitori, ma anche da maestri, magari mentre stanno cercando di lavorare in smart working.
L’uomo è un “animale sociale”
Seppur necessario per limitare la diffusione dell’epidemia, infatti, non siamo “progettati” per gestire a lungo l’isolamento sociale. Come ci ricorda il filosofo greco Aristotele, l’uomo è un “animale sociale” e, come tale, è incapace di vivere isolato dagli altri in quanto “l’assenza di relazioni non permette lo sviluppo dell’identità personale”.
L’isolamento prolungato può influire negativamente sulla salute delle persone, andando ad alterare i ritmi del sonno e dell’alimentazione e può generare una profonda solitudine in coloro che vivono soli o non possono contare su una rete sociale adeguata, aumentando così la probabilità che emergano sintomi di diverso tipo. A ciò si aggiungono le preoccupazioni economiche e quelle relative alla perdita di un proprio caro.
Pandemia: qualcosa abbiamo imparato
Nonostante tutte queste preoccupazioni, però, sicuramente qualcosa abbiamo imparato da questa situazione. Ci siamo scoperti più forti e resistenti di quanto pensavamo o comunque, abbiamo imparato a chiedere aiuto. Anche questa è una forma di forza e di coraggio, sentire di non riuscire a fare da soli ed essere capaci di capire, in un dato momento, fin dove possiamo arrivare.
L’angoscia che tante persone sentono di provare in questo momento è una normale risposta umana a una grave crisi. Riconoscere e accettare questi sentimenti impedisce che si trasformino in qualcosa di più grande.
Rinunciare, delegare, lamentarsi sono tutti atteggiamenti che, se all’inizio di una crisi possono esserci d’aiuto, perpetuandosi finiscono per complicare la nostra situazione, facendoci scivolare lentamente verso un senso di impotenza e frustrazione maggiori. Riconoscerli da subito nel proprio comportamento è il modo migliore per muoversi in direzione contraria e spezzare il circolo vizioso che porta alla rinuncia farà sì che ci si senta di poter influire su qualcosa nel nostro quotidiano, permettendoci di sentirci un po’ meno impotenti.
La relazione col sé
La pandemia ci ha inevitabilmente portato a revisionare cosa conta e cosa no, quindi a rivedere quali sono le priorità, così come ci ha permesso di metterci maggiormente in contatto con noi stessi. Lo stare soli incrementa la relazione con il sé. È in questo momento che aumenta la possibilità di conoscersi meglio, dando valore alla frase sentita e risentita, ma ora più che mai sempre più vera e attuale che “per stare bene con qualcun altro, necessitiamo prima di stare bene con noi stessi“. Conoscendo meglio cosa siamo, cosa vogliamo e dove vogliamo andare, saremo anche più capaci di capire cosa vogliamo all’interno di una relazione.
Ridefinire le relazioni
Questa pandemia ha già portato e continuerà a portare, inevitabilmente, a ridefinire i nostri stili relazionali. E allora sarà più giusto pensare non che “tutto tornerà come prima” ma affrontare i cambiamenti che stiamo vivendo con flessibilità e sperimentarsi in nuove modalità relazionali.
L’essere umano è estremamente duttile, si adatta al cambiamento, che diventa poi la nuova normalità. Ma per arrivare a questo è necessario darsi tempo e spazio.
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